domenica 8 giugno 2014

Makkè kemioterapia! Per sconfiggere il cancro basta saper cogliere il tarassaco!

Alcuni giorni fa avevo messo la sedia a sdraio davanti alla porta di casa, nell’intento di leggere un libro mentre tentavo di abbronzarmi un po’.
Era una bella giornata ma qui al colle c’era il vento forte e le nubi correvano veloci nel cielo. 
Si fermavano solo quando arrivavano davanti al sole, forse per riprendere fiato, e lì sostavano a lungo non curandosi affatto se per causa loro un freddo intenso, quasi da autunno, mi costringeva a rientrare in casa.
Ma non si può stare chiusi in casa i primi di giugno, neppure quando la casa sta a milletrecento metri di altezza, allora ho messo il libro in borsa, ho chiamato Spiffi il cane e  insieme siamo scesi al fiume.
Lì era di nuovo primavera. Mi sono sdraiata al sole, sui sassi vicino alla cascata che forma una specie di minuscolo laghetto e mentre Spiffi il temerario faceva il bagno nell’acqua gelida, ho lasciato che lo sguardo scorresse intorno.
I prati che un tempo erano pascoli adesso hanno l’erba alta e tra l’erba ci sono grandi macchie gialle e viola intervallate da puntolini azzurri chiaro. Sono i fiori di quassù, di cui non conosco il nome e ogni volta me ne dolgo e mi riprometto di andare su internet per imparare a riconoscerli ma poi me ne dimentico sempre.
Comunque ci son dei fiori fucsia che sembrano scovolini e altri giallo chiaro, a cinque petali che non amano star soli e si ammassano in sei o sette tutti sullo stesso gambo e poi i più belli, d’un viola scuro, quasi cupo, che somigliano a gigli in miniatura ma tengono il capo chino come le campanelle, e ogni tanto l’azzurro di qualche raro "non ti scordar di me".
Guardando i prati mi sono accorta che non c’era quasi più il tarassaco.
Fino a venti giorni fa quei fiori gialli che da piccolina chiamavo i "piscia a letto", e stavo ben attenta a non toccarli, convinta che bastasse sfiorarne anche soltanto uno per ritrovarmi con le mutandine bagnate e una pozza gialla in mezzo ai piedi, invadevano i prati e adesso sono svaniti come per incanto. 
O forse si son trasformati in soffioni, quelle palle di semini bianchi che se ci soffi sopra volano via e resta solo il gambo vuoto, ma le mie conoscenze di botanica sono scarsissime, per non dire nulle e come sempre mi son scordata di andare su Internet a verificare se sia vero o no che i piscialletto si trasformino in soffione.
Quello che so per certo è che i petali dei piscialletto, anche se adesso li chiamo tarassaco, son ottimi per fare i ravioli e proprio per questo io, fino a venti giorni fa, ne ho raccolti una gran quantità.
Quando si raccoglie il tarassaco si deve fare attenzione.
O meglio, se si è sani non importa, magari conviene dare un occhio che non ci sia un’ape appollaiata tra i petali  pronta a pungerci o una vipera intenta a prendere il sole proprio lì vicino, ma altri riguardi non sono necessari.
Ben diverso invece se si è stati malati di cancro e si teme una recidiva.
Nel qual caso quando si raccoglie il tarassaco bisogna stare molto attenti a non distruggerne intere famiglie: se vi trovate davanti a una chiazza gialla di fiori potrete cogliere solamente quelli un po’ distaccati dagli altri e ricordatevi di lasciare sempre un fiore adulto accanto a un fiorellino
giovane e sappiate che da ogni gruppo ne potrete estirpare soltanto pochissimi, cercando di scegliere quelli che vi sembrano stanchi di vivere e che quindi vi saranno grati per la vostra caritatevole eutanasia, dopo di che dovrete passare alla successiva chiazza gialla.

Facendo questo eviterete il rischio di ricaduta nel cancro, ve lo garantisco io, che sono anni che faccio così ed i miei controlli semestrali sono andati tutti bene.
Circa un mese fa, ad esempio, dovevo andare in ospedale per i controlli e avevo una gran paura.
Io non ho paura di morire, non penso mai alla mia morte, neanche quando ero malata e le dormivo accanto, ho paura della morte dei miei cari, non della mia. 
E poi io sono un po’ scema e mi scordo tutto, anche di essere stata molto malata. 
Me ne ricordo solo una ventina di giorni prima della visita di controllo, perché all’improvviso smetto di dormire e quando provo ad addormentarmi non scivolo nel sonno ma precipito, mi sembra di cadere nel vuoto e mi prende un forte senso di vertigine che mi tiene sveglia, allora di notte faccio i giochini al computer e di giorno sto col malumore e non sopporto neppure le persone care che mi stanno intorno. 
È così che capisco che si sta avvicinando la data dei controlli, perché  è vero che non ho paura della mia morte ma temo fortemente di essere tagliata a pezzi, di sentirmi dire che il tumore è entrato nelle mia ossa e mi debbano tagliare una gamba, ad esempio, oppure di dovere rifare la chemioterapia.
Credo che sia per quella paura che nei venti giorni che precedono la visita in ospedale salta fuori il medioevo della mia anima e prego e rispetto il grande piscialletto che sta nei prati perché temo le sue rappresaglie e si sa che le rappresaglie dei potenti e degli Dei sono pericolose assai.

Per placare l’ira dell’onnipotente tarassaco un metodo c’è. 
Se si vuole, ad esempio, che al momento di ritirare le analisi del sangue la signora Carla del laboratorio di analisi vicino a casa , fregandosene della privacy, sventoli il foglietto coi risultati in faccia a Fabrizio e gli gridi sorridendo: Dì alla bimba (che nonostante i miei cinquantasette anni sarei poi io) che  i marcatori tumorali sono tutti a posto!”, basta seguire alcune semplici regole:
Regola numero uno:
Attenti a cogliere il tarassaco, evitare di distruggere le famiglie e non separare le mamme tarassaco grandi  dai loro piccoli.
Regola numero due:
Quando si lavano le posate riordinarle a gruppi ben distinti, le forchette e i cucchiai da minestra in un cestello, i cucchiaini piccoli e i coltelli in un altro. Mai mescolarli o scambiarli di posto.
Regola numero tre:
Quando si gioca sul PC a trovare gli oggetti nascosti procedere con ordine, seguendo l’elenco: se devi trovare un  teschio, un cane e un accendino non è che puoi cliccare sull’accendino senza  prima aver trovato il cane.
Regola numero quattro:
Ogni cosa che lasci nel piatto deve essere assolutamente in numero pari, se stai mangiando  le penne al pomodoro e non ti va di finirle ad esempio, non è che puoi lasciarne tre o sette, ma solamente due, quattro o sei. La regola vale  per tutti i tipi di pasta, compreso gli spaghetti, anche se con quelli si fa più complicata.
Regola numero cinque:
Mentre sei in ospedale in attesa che ti chiamino per la visita devi giocare a ‘Millionaire’, è assolutamente vietato leggere libri e tantomeno i giornali, questa regola vale anche per gli eventuali accompagnatori.
Son regole facili da seguire e vi assicuro che salvano dalla ricaduta nella malattia e sono molto più serie e scientificamente provate di qualunque cura a base di bicarbonato e limone e delle diete rigorosamente alcaline. Ve lo garantisco io, che ormai sono al quarto anno dalla malattia e anche stavolta i controlli mi hanno assicurato che il cancro, almeno per ora, s’è scordato di me.

Per questo l’altro giorno, sdraiata al sole, mentre guardavo i prati e Spiffi fare il bagno, ringraziavo il grande Dio invisibile, che forse è un piscialletto gigante, per avermi anche stavolta data salva la vita, anzi no, per avermi risparmiato di dover fare un altro ciclo di chemioterapia.
Perché io non ho paura di morire. Ma di essere tagliata a pezzi o di dover fare di nuovo la chemio ho invece un grande timore.
Soprattutto di dover rifare la chemioterapia.
Perché la chemio puzza di morte.
Ne parlavo giorni fa con una cara amica che per fortuna proprio ieri ha fatto l’ultima seduta e anche lei, come me, ha provato la stessa sensazione.
Quando fai la chemio ti pare di essere marcia dentro e ti senti sempre addosso e soprattutto in bocca l’odore della morte.
Di solito non do troppo peso alle malattie e reggo abbastanza bene il dolore.
Quando devo fare i miei mensili lavaggi del Port e mi infilano un ago enorme da flebo nella vena del collo, mi capita spesso che le infermiere mi utilizzino come cavia per insegnare a qualche tirocinante come è che si fa. “Tanto la signora non brontola” dicono rivolgendomi un sorriso; e io sto lì, buona buona a farmi fare anche cinque o sei buchi affinché imparino a beccare il punto giusto della valvolina che continuo a portarmi addosso e quando l’allieva di turno si scusa imbarazzata per la sua inesperienza rispondo anch’io con un sorriso, ”non ti preoccupare bella, i dolori son ben altri”.
E sì, i dolori son ben altri e quelli della chemio, almeno di quella che ho fatto io , erano abbastanza devastanti.
Quando finivano i dolori alle gambe, a tutte le mucose, ai denti, allo stomaco e agli occhi, perché improvvisamente mi calavano le palpebre e non riuscivo più ad aprirli e anche se provavo a riderci su, facendo finta d’essere una tossica, non era una cosa tanto facile da sopportare. E poi le unghie che si sgretolavano e niente ciglia, né peli, né capelli e tanto altro ancora, ecco, quando dopo un paio di settimane dall’infusione riuscivo a stare un po’ meglio iniziava lo schifo, il senso di putrefazione ed il sapore di carogna in bocca .
È per quello che quando si avvicinano i controlli do via libera a tutto il mio repertorio di rituali in bilico tra il medioevo oggi e la New Age più demenziale e  farei di tutto per non dovermi risottoporre alla chemio.
Quella stessa chemio che  adesso, scampato il pericolo e rimesso a tacere il medioevo della mia anima, ancor più della curcuma, del grande tarassaco, dell’aloe e miele e del bicarbonato al limone,  in cuor mio ringrazio  per avermi davvero reso salva la vita.

PS.
Un consiglio, perché quando non sapete che fare e vi sollazzate postando articoli privi di qualunque base scientifica sul cancro che guarisce da solo, o sul bicarbonato che cura i tumori senza chiedervi quanto male rischiate  di fare a chi la malattia la sta affrontando sulla propria pelle, perché proprio in quel momento lì, col ditino pronto a fare "clic" non ci ripensate un attimo e non pubblicate, ad esempio, delle belle immagini di fawe™ o culi che non fanno male a nessuno, e semmai  gratificano gli occhi e risollevano lo spirito?

venerdì 25 aprile 2014

25 Aprile

Racconto liberamente tratto dalle testimonianze di Lorenzo Manattini e Ettore Malpighi


Il vecchio cammina verso di me, tiene le gambe larghe e ogni tanto barcolla un po’
“si rifiuta di portare il bastone, non vuole che i compaesani si accorgano che fa fatica a camminare,sai, ha il suo  orgoglio: era un famoso fungaio e fino a pochi anni fa  percorreva chilometri e chilometri su e giù per i monti ” mi dice sottovoce il figlio scuotendo la testa.
Siamo seduti davanti al bar del paese.
Abbiamo bevuto un caffè aspettando che suo padre uscisse da messa.
“Allora, signora, m’han detto che mi voleva parlare” Mi apostrofa il vecchio non appena mi arriva vicino.
Non mi dice buongiorno,non mi sorride.
Appoggia  entrambe le mani sul  piano del tavolino a e mi guarda da dietro un paio di occhiali dalle lenti sfumate .
Riesco a intravedergli  gli occhi, sono azzurri, e neanche lì c’è l’ombra di un sorriso.
“Volevo un suo ricordo del 25 aprile del 45, quando finì la guerra ma se le do fastidio non importa” rispondo un po’ intimorita
“I fastidi son ben altri. Queste gambe mi danno fastidio, mica lei” Un accenno di sorriso gli appare agli angoli della bocca e subito scompare
Lo invito a sedersi .
Rifiuta. “ E che mi siedo a fare?, c’ho ben poco da dirle. È presto fatto:  io il 25 aprile non lo festeggiai di certo”
Guardo risentita il figlio del vecchio, non capisco perché mi abbia consigliato di parlare con suo padre, che non mi pare altro che un fascista nostalgico , e anche un po’ maleducato, per giunta.
“Perché non lo festeggiò? all’epoca lei era un repubblichino?” Spero che il tono della mia voce esprima bene tutta la mia disapprovazione
“ No. Non ero né un repubblichino né un bel nulla. Nel 45 ero solo un ragazzo di 17 anni.” Parla a scatti. Tronca le frasi di netto, senza strascichi.
 Poi il suo tono si fa più sommesso, come se la voce gli uscisse da lontano
 “O meglio , avrei dovuto essere un ragazzo, se non mi fossi dovuto trasformare in una bestia”
 Cerco il suo sguardo, non lo trovo,ha gli occhi persi su un manifesto pubblicitario, affisso alla vetrina del bar .
“ Il 25 aprile ero a Nordhausen. In quei posti lì, se volevi sopravvivere, neanche un animale potevi essere.
 A diciassette anni io ero una bestia.”
“ Nordhausen? Il campo dove c’era Dora? Le fabbriche scavate sotto la montagne? Ma davvero dormivate nelle gallerie e non vedevate mai il sole?” lo guardo con occhi nuovi, vorrei fargli mille domande
 “Sì signora, proprio quel posto lì.
Ma non dormivo dentro le gallerie , ci avevano chiusi tutti in una fabbrica di tabacco. Dormivamo lì e nelle gallerie ci si andava solo a lavorare.
Comunque il sole non l’ho mai visto lo stesso,  o meglio, lo vedevo all’alba,quando ci facevano marciare fino alla montagna e poi più.
Ci tenevano là sotto, dentro  la montagna ,per dodici ore al giorno, poi si perdevano altre due ore per fare l’appello e quando s’usciva di lì era già buio.
Il sole non lo vedevi mai, sembrava che in Germania esistesse solo l’umido e il gelo. E sì che io ero uno di montagna e al freddo c’ero abituato.
Ma quello era un gelo che non l’avevo mai sentito. Ti facevano scaricare dei vagoncini  da miniera pieni di barre di ferro e era talmente freddo che le mani ti ci rimanevano attaccate, il ghiaccio ti portava via la pelle.
E dovevi continuare a lavorare anche con le mani che ti sanguinavano perché se i kapò s’accorgevano che ti fermavi ti prendevano a bastonate.
Lo sapeva lei signora che i tedeschi andavano a scegliere i Kapò tra i peggio delinquenti?
A Nordhausen l’avevano presi tutti ergastolani, così che non gli facesse specie di massacrarci dalle botte.
Una volta ne ha visto  uno dare una bastonata in piena faccia a un militare italiano, un brav’uomo,era dal campo di prigionia di  Fossoli che s’era rimasti insieme, e m’aveva aiutato tanto. Quel Kapò  gli dette una botta talmente forte che la faccia gli scoppiò, o forse fu per via del freddo che gliel’aveva fatta diventare di vetro, ma a un certo punto quel pover uomo  al posto del viso c’aveva come una rosa di carne e sangue. Cadde in terra e noi si dovette lasciare lì, che se ti fermavi a raccogliere un compagno, anche solo a dargli una mano, facevi la sua stessa fine.
Gliel’ho detto, signora, per sopravvivere in quei posti lì bisogna scordarsi della propria condizione umana. Sopravvivi solo se smetti di pensare come un uomo: non devi avere neanche più un sogno, né un desiderio e nemmeno un ricordo. Soprattutto niente più ricordi, vanno cancellati tutti: devi pensare solo a sopravvivere,a non vacillare sulle gambe, a tirare avanti in ogni modo possibile.
 Bisogna diventare bestie. E il signore Iddio nella sua misericordia m’ha concesso anche questo:  dopo esser stato bestia m’ha fatto ritornare uomo.”
Il vecchio prende dalla tasca della sua giacca un fazzoletto di carta, si asciuga gli occhi. “M’avete voluto far operare per la cateratta e ora guarda lì , gli occhi mi lacrimano sempre” Borbotta  burbero rivolto a suo figlio.
“ Io sono stato fortunato.
Ero abituato a essere povero .
C’ero nato povero e  forse anche per quello ce l’ho fatta a tornare indietro a raccontarlo.
Matteino per esempio, che era un mio coetaneo, un giorno non ce l’ha fatta più  a stare lì a aspettare di morire e ha aperto la porta della fornace giù alla fabbrica e s’è buttato dentro.
Noi abbiamo continuato a lavorare come se non fosse successo nulla ma l’odore della sua carne bruciata  ce l’ho ancora nel naso, non m’è mai riuscito di mandarlo via.
Era lo stesso odore che c’era a Sachsenhausen.
Quando ci portarono in Germania la prima tappa la facemmo lì.
Appena arrivammo  vedemmo carretti su carretti carichi di cadaveri.
Quei morti nudi, rinsecchiti,ammassati l’uno sull’altro, erano così diversi dai nostri morti, che t’accorgevi che erano uomini solo perché ogni tanto una gamba o un braccio scivolavano giù lungo il bordo del carretto.
Io che ero un ragazzo, lì per lì non provai né pietà né paura.
Fu  solo quando lo zio Bati, che mi marciava accanto, mi sussurrò fra i denti ,in dialetto “ mi sa che non siamo mica arrivati in un bel posto” che capii. Allora mi misi a piangere, in silenzio , senza neanche un lamento, perché anche quello ho imparato lì, a non dargli mai la soddisfazione di vederti soffrire.
A Sachsenhausen ci sono rimasto poco.
 E anche quella fu una gran fortuna. Perchè lì c’erano i forni crematori, e si diceva che sopravvivere in quel campo più di tre mesi era un miracolo. Appena arrivammo ci tennero tre giorni in piedi, mattina e sera, chi fu abbastanza forte da restare ritto fu trasferito al campo di lavoro di Guben. Gli altri furono lasciati lì, a morire, ma questo l’ho saputo dopo, a guerra finita.
Anche a Guben ci sono rimasto poco. Una mattina ci svegliammo e sentimmo i cannoni e le mitragliatrici. Voleva dire che i russi erano vicini. Un militare tedesco ci disse di prendere la nostra coperta , poi ci divise in gruppi di 14 uomini e dette a ogni capogruppo un chilo di pane da dividere con gli altri. Dovevamo evacuare il campo.
Rimasi stupito  che non fosse stato il nostro Kapò a darci gli ordini, tra uno spintone e un pugno. 
Un prete, un internato come me, mi spiegò che i tedeschi  prima di ritirarsi  uccidevano sempre tutti  i kapò, per non lasciare in vita possibili testimoni.
Dopo  uccidevano anche i bambini, i vecchi e i malati. Spostarli da un campo all’altro sarebbe stata una fatica inutile, venivano tenuti in vita solo coloro che erano abili al lavoro
 Mi disse che io ero fortunato ad essere un ragazzo forte, perché i tedeschi avevano bisogno di molta mano d’opera. Le condizioni nei campi di lavoro erano talmente pessime che gli internati raramente sopravvivevano per più di sette otto mesi, e quindi nelle fabbriche c’era bisogno di un ricambio continuo.
Per andare dal campo di Guben a Nordhausen facemmo circa 500 chilometri a piedi.
 Ormai era inverno inoltrato, si marciava per 40, 50 chilometri il giorno, sotto la pioggia e la neve. 
Alla colonna di noi deportati s’erano uniti anche molti civili tedeschi, che scappavano dai bombardamenti russi.
Anche quella fu una gran fortuna, perché quando si attraversava i paesi la gente del posto ci aiutava, ci dava qualcosa da mangiare, che con un chilo di pane in14 non si sarebbe di certo andati tanto lontani.
Chi cadeva e non ce la faceva a rialzarsi dovevamo lasciarlo lì, se non volevamo fare la stessa fine.” Il vecchio rimane in silenzio qualche minuto. Si soffia forte il naso, si asciuga di nuovo gli occhi. “accidenti alle cateratte..”
Gli sorrido comprensiva“ E come ha fatto lei a sopportare tutto questo, a diciassette anni, un ragazzino, se penso a mia figlia che ne ha quasi diciannove…a cosa pensava per poter  tirare avanti?”
Mi guarda, arriccia appena le labbra,  forse sta tentando di ricambiare il sorriso
“A cosa pensavo non lo so. Ma so che ho pianto tanto. Solo lacrime,come acqua che esce dagli occhi, in silenzio.
 E ho masticato tante di quelle radici… per non sentire i morsi della fame
Una volta un contadino ci ha fatto dormire nella stalla. C’erano mucchi di letame di cavallo ovunque, e mai letto m’è parso più bello. Ci si sdraiava su tutto quel letame e finalmente si stava al caldo…”
Quando siamo arrivati a Nordhausen lì per lì mi pareva quasi di starci bene. Dopo 15 giorni di marcia e fame  e freddo lì almeno si poteva dormire al chiuso
E poi la mattina ci davano una scodella di caffè nero e un tubetto di margarina, a pranzo un’altra tazza di caffè e a cena la minestra di rape. Nella minestra spesso c’erano le cimici, ma io non ci facevo caso. Gliel’ho detto, ero nato povero. Ci davano anche 250 grammi di pane la settimana, ma tutti s’era presa l’abitudine di mangiarlo subito, per non rischiare che qualcuno ce lo rubasse
Dopo tre mesi di 12 ore di lavoro al giorno, con quel gelo, senza mai vedere un raggio di sole, anch’io, che ero un giovane forte ,m’ero ridotto a essere l’ombra di me stesso.  Non so quanto avrei potuto durare ancora, ma ho avuto fortuna, gliel’ ho già detto, e i primi di aprile abbiamo sentito di nuovo il rumore delle bombe. Stanno per arrivare gli inglesi, si mormorava al campo.
Una mattina il nostro Kapò non è venuto a darci la sveglia. Al suo posto  c’era un ufficiale dell’esse esse . Ha fatto l’appello. Ci ha radunati sul piazzale del campo e ci ha costretti a marciare fino alla montagna, dove c’erano le gallerie in cui si lavorava.
Ho capito che questa volta era finita davvero .
I tedeschi si ritiravano e abbandonavano la fabbrica.  Sapevamo tutti che non ci avrebbero portati con loro. Ormai la Germania aveva perso la guerra, non avevano più bisogno di mano d’opera  , noi non servivamo più a nulla. Eravamo solo un ingombro e non potevano neanche lasciarci andare, perché eravamo dei testimoni pericolosi.
I soldati tedeschi ci obbligarono a entrare nelle gallerie. Un ufficiale ci comunicò che ci avrebbero rinchiusi dentro e ci avrebbero fatti saltare in aria  insieme alla fabbrica.
Ma si vede che non era ancora arrivato il mio momento per morire perché inaspettatamente i cittadini di Nordhausen, impauriti dai bombardamenti, si riversarono dentro le gallerie in cerca di un rifugio .
I Militari tedeschi per non uccidere anche tutti quei civili rinunciarono a farci saltare in aria minando le gallerie.
 Sgombrarono il campo in tutta fretta e fuggirono lasciandoci lì.
Il mattino dopo arrivarono gli americani, era il 15 aprile.
Gli americani ci misero più di una settimana per organizzare la vita al campo per noi che eravamo sopravvissuti.
In quei giorni ho creduto davvero di morire di fame.
Una mattina che non ce la facevo più a stare a digiuno  mi feci coraggio e uscii fuori dal campo, in cerca di cibo.
Il paesaggio intorno era così simile a quello delle nostre montagne: c’erano gli stessi boschi di faggi , di larici,  che quasi non mi pareva potesse essere vero che dalla stessa terra , dalla stessa erba, che c’è anche qui da noi,  fosse nata  così tanta crudeltà.
In fondo a un prato scorsi una cascina di contadini.  Misi da parte la mia paura e mi avvicinai. Sull’aia c’era un vecchio contadino. Mi vide,  mi urlò qualcosa che non capii.
 Gli feci i cenni con le mani, indicandomi la bocca, “ho fame, dammi da mangiare , ti prego”, gli dicevo con le parole e i gesti.
Il vecchio contadino entrò in casa, e io tirai un sospiro di sollievo,finalmente avrei mangiato un pezzo di pane, o una patata. Invece tornò fuori imbracciando un fucile, urlandomi di andare via, o almeno fu quello che io pensai mi stesse dicendo. in quella lingua che non riuscivo a comprendere
 Mi girai e iniziai a correre .
Sentivo gli spari del fucile, le pallottole passarmi vicine.
Tornai al campo e piansi. Il giorno seguente gli americani si insediarono al campo.
Ci radunarono sul piazzale e lessero un proclama. Un soldato italo americano ce lo tradusse “Nell’armeria ci sono ancora delle armi tedesche, potete prenderle. Avrete 5 giorni di tempo per regolare i vostri conti, se avete qualcosa in sospeso, qualcuno  a cui volete farla pagare approfittatene ora. Fra 5 giorni prenderemo ufficialmente possesso del campo, dovrete consegnare le armi, non saranno più concesse vendette a nessuno.
Io andai in armeria. Presi un fucile.  Uscii dal campo, tornai alla cascina.
 Aspettai nascosto di vedere quel vecchio impietoso che mi aveva puntato il fucile addosso.
Che aveva sparato contro  un ragazzo affamato che a diciassette anni non era più nemmeno un ragazzo e s’era dovuto trasformare in bestia. 
Aspettai immobile, per più di un’ora.
Poi il vecchio uscì .
Teneva in mano due secchi, stava andando a dar da mangiare alle bestie.
Presi la mira.
Puntai alla sua testa.
Vidi i suoi capelli bianchi e radi nel mirino del mio fucile
 E all’improvviso non ne ebbi più voglia di sparare, abbandonai il fucile nell’erba, tornai correndo verso il campo.
Mentre correvo ricordai  il viso della mia mamma ed era la prima volta che mi capitava, da quando ero stato imprigionato a Fossoli .
E poi immaginai il fiume sotto Ca’ dei Pesci, e pensai alle trote che a primavera fanno i salti fuori dall’acqua e se sei bravo puoi prenderle con le mani  e correndo per quei prati,  stupendomi che ancora esistessero i fiori , mi accorsi che stavo tornando ad essere un uomo.
Era il 25 aprile. Questa per me, signora, fu la liberazione

lunedì 3 febbraio 2014

Offese


Ieri sera, prima di andare a dormire, ho letto alcuni commenti seguiti a questa dichiarazione fatta da un responsabile delle comunicazioni del movimento 5 stelle che invece di condannare duramente i post di chi inneggiava allo stupro della Boldrini, rispondeva usando lo stesso stile machista “tranquilla, non ti trombiamo perché sei intrombabile.
Con mia grande tristezza ho constatato che anche molti simpatizzanti del movimento in un modo o nell’altro cercavano di giustificare quei post  o di ridurne la valenza (per me estremamente negativa), sostenendo che nella disputa ci sta di scadere nelle offese e così come si può dire, ad esempio ,“il budello di tu’ ma’” o “pezzo di merda”, si può anche augurare lo stupro.
Tutt’al più si pecca soltanto di maleducazione e niente altro e inneggiare allo stupro non significa essere dei potenziali stupratori.
Io invece credo che anche nella scelta delle  offese ci siano profonde differenze.
Anch’io penso che tra dire e il fare ci sia una profonda differenza , purtroppo però certi “dire” hanno comunque una grande pericolosità, quindi ieri sera  ho sintetizzato il mio pensiero postando queste poche e banali parole :
“Per me chiunque pensi alla propria fava come a un'arma da utilizzare per umiliare le donne è un gran pezzo di merda. Se poi al pensiero fa seguire l'azione diventa anche un delinquente, Senza se e senza ma.”

Un signore (che era tra quelli che sostenevano che non vale la pena di soffermarsi troppo sul linguaggio usato e sarebbe meglio concentrarsi sui fatti ) ha commentato

“Annalisa...tu esprimi concetti ovvi e totalmente condivisibili.
Come è ovvio che in un confronto tra persone civili non si debba scendere a violenze verbali. Ma se uno ti dice...possa tu morire ammazzato...zoccala...possa essere stuprata...ti possa prendere un cancro...ti possa cadere l'uccello...sto frocio di merda...spesso lo fa solo per offendere e per far incazzare la controparte..”

Io  penso invece  che dovrebbe essere ovvio e condivisibile ma forse , purtroppo, temo che tanto ovvio non sia.
Il problema non sta nell’offesa, anche se sarebbe preferibile quando si commenta un fatto ( e quindi la risposta di pancia non può essere giustificata dal coinvolgimento immediato) riuscire a trasformare l’emozione in ragionamento, ma sta nella scelta dell’offesa.
Perché le offese per essere tali, ovvero soltanto sfoghi di rabbia, non devono trovare riscontro nel proprio pensare.
Mi spiego meglio.
Io posso urlare, mentre sto litigando con una persona sana, “speriamo tu muoia” ( facendo solo la figura del becero) ma non posso fare la stessa cosa indirizzata a un malato di cancro (perché lì non sto utilizzando soltanto una brutta parola ,ma vado a toccare qualcosa che può realmente avvenire e che riguarda da vicino il mio interlocutore).
Se facessi una cosa del genere non sarei più soltanto maleducato, sarei anche crudele.
Per la cronaca ieri ho visto un breve filmato dove la Guzzanti (Sabina) faceva la parodia di Oriana Fallaci e ironizzava sul suo cancro. A me Oriana Fallaci non piaceva, neppure i suoi libri mi piacevano, ma la Guzzanti mi ha fatto veramente cacare, perché per pensare che quella crudeltà  facile e gratuita possa far parte della satira bisogna essere fatti soltanto di boria, cattivo gusto e tanta demenza
Credo che le offese siano tali quando sono generiche e affibbiabili a chiunque,( mi riferisco a parole come “pezzo di merda”, “vaffanculo” ecc, ad esempio)  ma altre, tipo “ ti manderei a Auschwitz” rivolte a un ebreo , “o speriamo ti stuprino” rivolte a una donna   sono invece qualcos’altro.
Io  ho una figlia di origine rom, adottiva.
Nel corso dei pochi litigi furiosi che abbiamo avuto m’è capitato di dirle “Se ti fai bocciare un’altra volta sei una stronza che non ha voglia di fare una sega” ma mai mi son venute alle labbra parole come “ Si vede che sei zingara perché non hai voglia di fare una sega” o “Ti sei sbronzata perché  ce l’hai nel DNA  e sei uguale al tuo babbo naturale”.
Non ho mai utilizzato quelle parole non perché abbia dovuto mediare tra la mia voglia di usarle e il mio dispiacere di mamma nel sapere che le avrei fatto del male, non le ho mai usate perché dentro di me non ce le ho proprio , e non avendocele non possono saltar fuori neppure nell’immediatezza dell’ira.
Invece ad alcuni uomini viene “naturale” pensare alla propria fava come a un corpo contundente e  al rapporto sessuale come a un atto di violenza.
E questo mi dà da pensare.
In fin dei conti le parole sono l’espressione verbale dei nostri pensieri, e a parole cattive corrispondono per forza pensieri cattivi.
Mentre sono nella diretta di un litigio urlare “ stronzo speriamo tu caschi e ti rompa una gamba” è maleducato ma non è pericoloso perché mi limito a esprimere in modo volgare il mio brutto desiderio di ripagarti del male che mi stai facendo augurandoti altro male .
Se invece ti urlo “ti tromberei nel culo” esprimo ugualmente il mio desiderio di ripagarti col male, ma significa anche che al “trombare” do una connotazione negativa. Ancora peggio se aggiungo “ti farei scopare dal capo dei rom!” perché oltre ad associare all’atto sessuale un’idea di violenza esprimo anche il mio razzismo sottintendendo che essere trombati da un rom è ancora più spregevole.
Se così non fosse, cioè se per alcuni maschi il trombare una donna, (non con una donna infatti ) non avesse una valenza di male non verrebbero usate certe espressioni per esprimere la rabbia
Mica si va a dire, per offendere qualcuno,  "ora ti invito al ristorante e ti faccio mangiare il salmone," no?
Eppure , se non ricordo male , trombare dovrebbe essere piacevole almeno quanto farsi una bella mangiata!

Durante i miei maleducati litigi  tra le tante parolacce che ho usato non ho mai detto a un uomo “ ti prenderei a colpi di topa” o per fargli spregio “ora mi metto a pecora e ti invito a sodomizzarmi.”
Gli uomini invece questo linguaggio lo usano spesso, e manco se ne accorgono.
E purtroppo la naturalezza con cui ormai si umiliano le donne travalica anche il mero campo dell’offesa, e purtroppo non riguarda più neanche i soli uomini
La sera quando Fabrizio smette di lavorare e va a fare le sue suonatine al pianoforte guardo spesso “L’
Eredità” . Sovente alle concorrenti che dicono di essere in procinto di sposarsi ,Carlo Conti  rivolge un amichevole “auguri e figli maschi” e  a quelle già sposate chiede “ Ma com’è questo marito? È bravo, ti aiuta nelle faccende di casa?”. Le concorrenti sorridono tutte soddisfatte.
Io invece sento un’enorme tristezza: speravo fossero finiti i tempi in cui la fica veniva scambiata per una presa  di corrente per gli elettrodomestici, o peggio ancora, per il ricettacolo delle peggiori aberrazioni maschiliste.
Non imputo certo al movimento 5 stelle questa vergognosa visione della donna.
Gli anni ottanta hanno dato il colpo mortale ai pochi passi avanti che le donne e gli uomini avevano fatto rispetto alla liberazione sessuale. I vent’anni di Berlusconismo pure.
Quello che imputo al movimento 5 stelle , che si vuole presentare come “il nuovo”, è che non trovi abominevole un linguaggio così.
Grillo conosce bene i fenomeni della comunicazione, della propaganda, non posta certi argomenti a caso, o per errore.
La maggior parte dei suoi seguaci purtroppo non è però capace di criticarlo o di dissociarsi.
Purtroppo spesso anche i più democratici tra loro rispondono alle accuse di machismo che gli vengono rivolte giustificandolo: “ non è mica responsabile lui di ciò che scrivono i suoi simpatizzanti” oppure spostano il discorso puntando il ditino sulle pecche degli altri “ e allora che dire dei deputati PD che… o di SEL che…”
Questa per me è la colpa grave di chi crede nel movimento.
Per questo (ovviamente non solo per questo) in alcune mie note precedenti ho parlato di deriva totalitarista.
Ho parlato inoltre di propaganda perché questo è il modo di comunicare di Grillo: si prendono argomenti di facile presa , che nascono dal malcontento popolare, e si fanno passare per assunti indiscutibili. Non ultimo quello sul decreto banche e IMU.
Non entro nel merito della legge perché onestamente non ho abbastanza conoscenze di economia per valutare se sia stato un regalo o meno alle banche . Io, ad esempio, dopo aver letto vari articoli, come questo:
http://www.ilpost.it/2014/01/31/banca-ditalia-quote-proprieta/

O questo:
http://www.europaquotidiano.it/2014/01/31/ecco-le-tre-bugie-dei-grillini-sul-decreto-bankitalia/

Qualche domanda me la sono posta.
Onestamente sul web avrei preferito che gli esponenti del movimento avessero discusso , spiegato, risposto ad alcuni interrogativi sollevati da questi articoli, invece di dare per scontato che il decreto e la ghigliottina usata dalla Boldrini per farlo passare fossero un regalo di sel al governo in cambio di farsi spostare la percentuale minima nella legge elettorale. Per me 'propaganda' è quando si parte da un mal di pancia comune, (la gggente odia le banche  e il governo ) e  lo si trasforma in un dogma “il governo fa un regalo alle banche” che pochi avranno voglia di mettere in discussione, di chiedersi ma è davvero così, perché avrà soddisfatto il malessere della loro pancia.  Poi magari può risultare vero che è una legge di merda, ma mi piacerebbe che le valutazioni in merito fossero suffragate da argomenti, non da battutacce alla Grillo e da illazioni.
Sono sicura che all’interno del movimento 5 stelle vi siano persone oneste, che hanno voglia di lavorare davvero, ma proprio per questo non capisco perché non si rendano conto che stanno prendendo una direzione sbagliata non dissociandosi da chi fa le liste di  proscrizione di quei giornalisti che osano criticarli, da chi brucia il libro di Augias o scade nell’offesa personale anziché nell’argomentazione. Soprattutto perché continuano a rispondere ad ogni critica spostando su una critica agli altri , utilizzando lo stesso metodo sciocco di chi giustifica i campi di concentramento dicendo “e allora le foibe?”

3 febbraio 2013

venerdì 31 gennaio 2014

Il mio babbo le chiamava "le cacciate"

Le cacciate sono le situazioni in cui, con la scusa di onorare qualcos’altro, si fa in modo di mettersi in mostra, anzi,si cerca di far bella mostra di sé a scapito degli altri.
I matrimoni per esempio.
Ufficialmente siamo lì per gli sposi ma in realtà indossiamo l’abito migliore, se siamo fortunati possiamo esibire anche  la macchina nuova, baciamo sulle guance i conoscenti sfoggiando un sorriso che riguarda solo la bocca e mai arriva agli occhi perché in realtà non ce ne importa un cazzo di  festeggiare l’altrui felicità, anzi! L’unica cosa che ci interessa davvero è poter scoprire che gli altri sono invecchiati un po’ peggio di noi , sono stati un po’ più sfortunati e soprattutto sono ingrassati così tanto che quasi non  si riconoscono più. Le “cacciate” servono per poterci sentire“ganzi” , anzi più ganzi, perchè la cacciata è tale solo se permette un confronto tra noi (che siamo meglio) e loro (che fanno proprio un po’ cacare)
Babbo diceva che i  funerali erano il top della cacciate  perché rispetto a chi in vita non è più  si è sempre vincenti: per sentirsi meglio  di un morto basta poco, è sufficiente essere vivi e non importa se la nostra vita è grama
Dopo una cacciata anche i più tristi tra i tristi riescono a tirare un sospiro di sollievo e possono dirsi  “o però  la mia vita non fa poi così schifo guarda la loro quant’è peggio!.”
Questo diceva il mio babbo  parlandomi de“le cacciate” , una parola che mi ero quasi dimenticata, e che solo stamani  mi s’è di nuovo affacciata alla mente.
Stavo guardando un video sulla lite tra Speranza e Di Battista, e mica ero troppo felice.
Un mal di testa persistente mi aveva svegliato prima delle sette di mattina e poi niente caffè a letto , o meglio, il caffè a letto lo stavo bevendo, ma me l’ero dovuta fare da sola perché Fabrizio era via per lavoro.
Insomma guardavo quel video e mi sentivo estranea a questo mondo.
Un po’ come quando viaggio sull’autostrada a novanta all’ora e tutti mi sorpassano, camion compresi, e allora  mi chiedo “ ma che cazzo ci faccio io che odio la velocità, su questa strada qui?.
Di Battista litigava e urlava “Figli di puttana Eva a chi?” facendo  la figura del bischero ancora più del solito. Ho provato a giustificarlo: nella foga del litigio , (io lo so bene) è difficile non scadere nel ridicolo delle parole, delle frasi sbagliate. Poi però il video proseguiva e si vedeva Di Battista girarsi verso la telecamera che lo stava riprendendo e allora staccava totalmente dalla sua ira e  si rivolgeva  a “noi cittadini” con tutt’altri toni ed argomenti.  
Mentre mi chiedevo da dove gli venisse tutta quella schizofrenia all’improvviso m’è venuta in mente la parola “cacciata” Ecco, la schizofrenia non c’entrava nulla,  e neppure una visione distorta della politica, mi sono accorta che ero semplicemente di fronte a una “cacciata”.
Di Battista stava recitando una parte
“Mi stai toccando?” Urlava contro Speranza che gli aveva messo una mano sul braccio,, “mi hai chiamato figlio di puttana eva?”
Doveva far capire ai suoi spettatori che lui era l’aggredito, la vittima, quindi il buono e l’altro l’aggressore cattivo, quindi si poteva pure strafottere  che “figlio di puttana eva” fosse una frase completamente priva di senso perchè era sufficiente che servisse allo scopo: doveva stabilire la linea di demarcazione  tra lui e l’altro, dove lui era il bravo e il  giusto e l’altro il cattivo.
E proprio grazie a quella sua appartenenza ai Buoni e  Giusti (decisa da lui ma fatta passare come una verità universale) poteva quindi arrogarsi il titolo di unico vero portavoce dei cittadini,  ovviamente anch’essi buoni e giusti per antonomasia, in culo al fatto che tra i cittadini ci siano anche coloro che inneggiano alla pena di morte o  quelli che preferirebbero usare come cavie da laboratorio i pedofili o i politicanti ladri anziché i topi.
Quella di Di Battista era una cacciata perché la motivazione ufficiale della sua battaglia era fasulla, le sue idee non c’entravano più nulla,le divergenze politiche neanche, erano solo una scusa per portare avanti l’unica cosa che gli premeva davvero : poter trarre consensi dimostrando quanto lui fosse bravo, e non per merito delle sue idee e delle sue azioni ma nel confronto con gli altri.
Insomma una metodologia alla Marco Travaglio, dove il sorrisino ironico, la battutina cinica e ll'ingiuria sull’altro prendono una valenza che non dovrebbero avere, quasi come se ormai avessero preso il posto del ragionamento. Le idee non si formulano più  con argomentazioni confutabili bensì trovano la loro forza nelle opinioni personali e negli sberleffi sarcastici.
Per questo non mi piace la politica grillina, e faccio fatica a definirla politica, perché chi chiama il compromesso inciucio (e la democrazia non si dovrebbe vergognare di cercare un compromesso tra parti contrapposte) secondo me farebbe meglio a stare zitto.
Guardavo Di Battista e pensavo che se non mi stesse così sul cazzo mi farebbe anche pena.
Vedevo un bimbo triste col ditino puntato “io sono un giusto e i cattivi sono loro.”
I grillini mi fanno quell’effetto lì.
Bimbi che vogliono essere bravi, ma senza durare la fatica di esserlo davvero , e allora confondono il loro merito con la capacità di denigrare gli altri.
Mamma guardami, accorgiti di me, lo vedi che sono stato bravo.
E infatti Grillo ieri, come una madre tra le peggiori madri ha detto “devo andare a Roma, a baciare i miei ragazzi, che si stanno comportando da eroi”. (le madri cattive usano i baci come se fossero premi)
Questi ragazzi, come i peggiori figli delle peggiori madri , si sono assunti il ruolo di giustizieri buoni e si incoronati da soli rappresentanti dei cittadini.    (Non miei, che per fortuna da cittadina mi son trasformata in una montanara testa di legno  ) 
Per questi ragazzi bisognosi di approvazione le idee non contano più nulla, rinfacciano agli altri politici di non fare il loro lavoro e di essere lì soltanto per rubare soldi e vantaggi e non si accorgono che anche loro stanno lì per tappare il buco che hanno nell’anima, per la loro necessità di sentirsi meglio degli altri e per l'insanodesiderio di essere visti sperando di brillare nel confronto e si son scordati che invece dovrebbero lavorare. Forse ai Di Battista e amici sfugge che si scende in politica  per fare politica e non per “le cacciate”.
 Se delle “cacciate non riescono  proprio a farne a meno , (se la loro vita è davvero tanto triste) forse è meglio che tornino a farle ai funerali, dove il confronto coi morti è più semplice e meno caciaroso e  così  non solo farebbero meno danni ma magari potrebbero anche contribuire a far cadere  in disuso la moda triste di applaudire di fronte ai feretri.

31 gennaio 2014

martedì 21 gennaio 2014

Torno a parlare del Movimento 5 Stelle

Qui sui monti non riusciamo a prendere la sette.
Quindi  ieri non ho potuto guardare né Augias né di  Battista intervistati dalla Bignardi .  Tra l’altro non credo che li avrei visti neppure se fossi stata a Pisa, son troppo popolana per divertirmi con quella trasmissionecosì salottiera, io son tipo da “chi l’ha visto” e poi la sera c’ho da giocare a carte con Fabrizio, e non è impresa facile vincere con uno che sa contare il 48!.
Però stamani sulla pagina di mio fratello mi son guardata il video di Di Battista e quello di Augias, e mi son letta anche tutti i commenti a seguito, poi mi son andata a leggere i commenti di alcuni seguaci di Grillo che commentavano questo suo post :


E mi sono guardata anche questo:


Insomma per un sabato piovoso mi pare sufficiente.
Per cercare di farmi passare il giramento di coglioni ho cucinato, ho mangiato, ma niente da fare, così ho deciso di tornare a scrivere.
La politica ha il compito di gestire la cosa pubblica, in democrazia si deve anche avere la capacità di mediare tra interessi contrapposti, salvaguardando le minoranze.
Beppe Grillo e seguaci sostengono che non hanno intenzione di appoggiare nessun governo che non sia loro.
Non sono neppure disposti ad appoggiare iniziative o proposte di legge che provengano da altri partiti politici.
 L’intento dichiarato di Grillo e seguaci è quello di mandare il più presto possibile tutto a puttana, in modo tale da risvegliare le coscienze dei cittadini   ed ottenere il maggior numero di voti, al fine di ottenere quell’ampia maggioranza che consenta loro di governare da soli.
 Onestamente non mi importa un cazzo se i 5 stelle  giustificano questo rifiuto a collaborare, questa decisione di non votare neppure quelle leggi che potrebbero anche condividere, perché  secondo loro gli altri partiti rappresentano il vecchio marciume fatto di ladri appiccicati alle loro poltrone.
Perchè questa di Grillo è una deriva totalitarista che mi fa molta paura. E come tutti i totalitarismi non può trovare ragione di essere nel ragionamento , nella valutazione e il confronto delle idee, ma nasce e cresce nella gestione emotiva dello scontento dei “cittadini”
“I politici son tutti ladri”è una frase che è diventata un dogma, in culo al fatto che ci sono anche politici onesti, così come “destra e sinistra son la stessa cosa", facendo finta che non ci sia alcuna  differenza tra chi caldeggia un liberalismo sfrenato e chi pensa che debba esistere uno stato sociale che si occupi anche di chi non può essere produttivo.
Grillo e seguaci si attribuiscono un’aurea di purezza e giustizia che a me pare solo fuffa.
Quelli del movimento sono i buoni, i bravi perché l’hanno deciso loro, un po’ come Berlusconi quando diceva ai suoi sudditi televisivi “io sono innocente e voi dovete credermi perché sono io a dirvelo.
Quelli del movimento non rubano perché portano gli scontrini,  e questo basta per autodefinirsi i paladini dei cittadini.
 Ma come si fa a dire seriamente “noi facciamo gli interessi dei cittadini”?
Quando io ero giovane ero di estrema sinistra, e portavo avanti quelli che  ritenevo fossero gli interessi degli operai e degli sfruttati. Ovviamente erano interessi contrapposti a quelli dei loro padroni. I 5 stelle invece fanno gli interessi dei cittadini? Ma di quali cittadini mi chiedo io?
Cittadino è mia figlia diciottenne che sarebbe senz’altro d’accordo col reddito di cittadinanza, ancora più d’accordo se  oltre a quello fosse prevista anche una cannetta quotidiana e un paio di birrine.
E cittadini sono coloro che non vogliono i campi Rom e dicono no allo ius soli , e lo sono pure quelli che credono che si debbano salvaguardare le nostre radici cattoliche.
 Cittadina sono anch’io, che credo che le radici le debbano avere gli alberi e non gli esseri umani e spero in una società multietnica.
 Parlare di interesse dei cittadini è fuffa , demagogia, serve a soddisfare la pancia ma non ha nulla a che vedere col cervello
Ma forse Grillo e seguaci non hanno una gran passione per il ragionamento, e mi pare che amino molto il pensiero semplice che  crea pochi problemi e  consente  di puntare il ditino sulle colpe degli altri regalandoci facili assoluzioni.
Basta pensare alle varie proposte che vengono presentate, referendum per uscire dall’euro, dichiarazioni come “noi il debito pubblico non lo paghiamo ecc”. E niente imu e reddito di cittadinanza, .
E chi non sarebbe d’accordo, ? Bisogna però stoppare lì il pensiero e  non perdere tempo a chiedersi dove si possano trovare i fondi, o inventarsi che basti tagliare gli stipendi ai politici e non acquistare gli f 35
Mi viene in mente una manifestazione di tanti anni fa, fatta  in solidarietà a una bambina rom che aveva perso una mano e un occhio grazie a una bomba nascosta in una bambola (o un libro) che le era stata regalata mentre chiedeva a un semaforo .
Alla testa del corteo c’erano i centri sociali, dietro un po’ distaccati un centinaio di rom.
Quelli dei centri sociali gridavano slogan tipo “pagherete caro pagherete tutto!” oppure gridavano il nome della bimba e dopo in coro “ti vendicheremo”.
I rom seguivano in silenzio.
Io me ne stavo nel mezzo, tra i due gruppi.
Improvvisamente, nel vedere quella divisione interna al corteo, mi prese un gran giramento di coglioni, allora andai sul muso di quelli che urlavano e iniziai a gridare a mia volta “ e come farete a vendicarla?” e  “chi dovrà pagare caro?” e “cosa avete intenzione di fare per fargli pagare tutto?”.
Quella volta non presi gli schiaffi , si limitarono a rivolgermi i loro comprensibili “ma che cazzo vuoi?” e “chi è questa cretina?”.
 Ancora oggi quando sento alcune dichiarazioni dei 5 stelle mi tornano a mente quegli slogan lì, e mi chiedo se davvero siamo diventati così scemi da accontentarci di avere risposte tanto semplici di fronte a problemi così complessi
.E sì, probabilmente siamo proprio così scemi, altrimenti non si spiegherebbero  i commenti che ho letto oggi:
alle dichiarazioni di Augias ben pochi si son sforzati di rispondere controbattendo con idee,  s’è preferito dargli del “vecchio trombone” o “intellettuale della Kasta”
Non si spiegherebbe nemmeno quell’orribile manifesto dove accanto alla foto della Bignarda (accusata di esser nuora di Sofri, noto mandante dell’omicidio Calabresi) è stata contrapposta  quella di  Di Battista in mezzo a un nugolo di bambini (ovviamente di colore scuro)
Tanto perché la ggente capisse subito chi fossero i buoni e chi i cattivi, e lo capissero grazie alla strizza di pancia, e non al ragionamento.
Non voglio parlare qui dello schifo dei commenti sessisti rivolti alla Boldrini, mi basta “la manderei al campo rom e la farei trombare dal capo” per mandare in culo la mia buona educazione borghese e cominciare a menare cazzotti.
Ma non venitemi a dire che Grillo non è responsabile di quei commenti, quando proprio lui li ha sdoganati usando un linguaggio che volutamente parla solo alla pancia
Quanto gli piace, ad esempio ,considerare come un merito quello che in realtà è soltanto un dato anagrafico , e come si soleva fare  nella migliore tradizione fascista,  eleva la gioventù al rango di un mito” . Non ci stupiamo allora se tra i suoi seguaci ci sono anche coloro che usano la fava come se fosse un manganello.
 Grillo è un gran furbacchione, e sa che andando a toccare l’emotività può avere molto più consenso che parlando al cervello.
Il linguaggio emotivo in politica è facile.
La ggente ha bisogno di sentirsi partecipe, di essere vista, e allora ecco Di Battista che dice che loro son democratici perché la riforma elettorale la fanno scegliere ai cittadini.
E pensare che io ho sempre votato nella speranza che le leggi,così  come la riforma elettorale venissero fatte da qualcuno un po’ più preparato di me, magari con qualche nozione di diritto costituzionale in più di quelle che possa avere io!
E invece mi sarebbe bastato passare a bere un caffè dalla mia vicina di casa , madre di tre figli, e la legge elettorale sarebbe stata presto fatta.
La politica  non dovrebbe cavalcare lo scontento bensì dovrebbe essere capace di trasformarlo in risposte razionali.
 Purtroppo più siamo stati abituati a tacere il nostro sentire, educati sin da piccoli ad ammaestrare le nostre emozioni per adeguarle a quelle dei nostri padri e più cerchiamo di tirarle fuori, anzi di farcele tirare fuori, in quegli ambiti dove invece non dovrebbero assolutamente stare.
La politica non ha il compito né di farci sognare né di farci sentire vivi, ha solo quello di gestire al meglio la cosa pubblica. Per questo la politica spesso è noiosa.
Sognare dovrebbe essere un compito nostro, non delegato al primo comico urlacchione che capita.
Ma imparare a dare ascolto alle emozioni nella nostra vita personale è un compito assai faticoso,.
È molto più facile sentirsi dalla parte dei buoni giusti e puri semplicemente accusando gli altri, i non noi, di essere brutti ladri e cattivi anziché cercare di impegnarsi davvero vivendo in un modo migliore.
I ladri, son sempre e solo gli altri, noi c’abbiamo il passaporto dei buoni, perché l’abbiamo deciso noi, e perché conserviamo gli scontrini o ci siamo ridotti lo stipendio di parlamentari.
Anch’io penso che ridurre lo stipendio e i privilegi dei politici sia un atto doveroso in un momento di crisi, ma so anche che la crisi non dipende da questo né si risolverà per questo
Eppure i 5 stelle danno a questa scelta una valenza enorme.
Questa scelta non serve a risolvere la crisi, ma serve senz’altro a parlare alla pancia della gente,  a ribadire il concetto che loro son dalla parte dei giusti. Pochi si chiedono se beccarsi 3000 euro il mese per stare a sedere sui banchi e fare ostruzionismo non sia comunque un furto.
C’è una domanda che da un po’ di tempo mi frulla in testa,. Ma se Grillo e seguaci son davvero Giusti e Puri, perché nessuno si chiede cosa ci sia di  etico nel guadagnare 4 milioni di euro in un anno?
LA risposta di Grillo la conosco già: lui quei soldi se li è guadagnati col suo lavoro, senza essere stipendiato da nessuno, e son frutto del sudore della sua fronte, ma la mia domanda sta proprio lì. Cosa c’ha di diverso il sudore della fronte di Grillo da valere 4 milioni di euro rispetto al sudore di Tania (la badante della mia mamma ) che invece arriva a stento a poco più di undicimila euro l’anno?
Perché i Giusti e i Puri non propongono una legge dove  chi guadagna più di quanto tutta la media di Cittadini potrà mai guadagnare neppure lavorando per tutta la vita venga tassato almeno al 70%?
Siamo Giusti e Puri sempre oppure no?
PS Non provo alcuna simpatia per Renzi, anzi, mi sta parecchio sul culo quando fa il “son toscano e son simpatico” , ma onestamente me ne sbatto i coglioni.  Tra l’altro mi importa una sonora sega anche se sia andato o no alla ruota della fortuna. La simpatia la riservo ai miei amici, Ai politici  chiedo altro, soprattutto che si occupino di gestire in modo più equo la cosa pubblica.

21 gennaio 2014